Parrocchia Gesù Buon Pastore
Fai una donazione per supportare Il Cine-Forum di Carlo e Flavio
Prenota il tuo spazio pubblicitario su questo sito

Vai alla pagina FACEBOOK de Il Cine-Forum di Carlo&Flavio


GLI APPROFONDIMENTI DEL CINE-FORUM

 TUTTI GLI SPECIAL
FROST/NIXON: IL DUELLO
(A cura di Lorenzo Marras)

ATTENZIONE! Il contenuto del seguente testo rivela anticipazioni sul finale del film.

Un Rocky sceneggiato con uno stile alla Dan Brown: un’inaccettabile operazione di revisionismo e falsificazione storica.


"No, I did not, in the first place commit a crime of obstruction of justice. Because I did not have the motive required for the commission of that crime (…) You're wanting me to say that I participated in an illegal cover-up? No! No!"
Richard M. Nixon intervistato da David Frost, trasmissione del 19 maggio1977.


“But, yes, I will admit there were times I did not fully meet that responsibility and I was involved in a cover-up, as you call it”.
Richard M. Nixon, interpretato da Frank Langella, in FROST/NIXON di Ron Howard, 2008.

“Tra tutti i veleni capaci di viziare una testimonianza, l’impostura è il più virulento. (…) C’è infine una forma più insidiosa di frode. Invece della contro verità brutale, piena, e se così può dirsi, franca, il rimaneggiamento sornione:interpolazioni nelle carte autentiche; nelle fonti narrative ricami di particolari inventati su un fondo grosso modo attendibile”.
Marc Bloch, Apologia della storia, trad. it. C. Pischedda, Einaudi, Torino 1969, p.89 e p. 94.

"Disinformazione è un eufemismo che sta per inganno (...) la disinformazione dà una falsa rappresentazione della realtà che viene fornita addomesticando i fatti, riportando impropriamente le parole degli altri, ignorando o negando prove decisive, o raccontando una storia, cioè mistificando i dati"
Jackson-Jamieson, un Spun, trad. R. Merlini, Garzanti, Milano 2008, pag. 15.

 

La narrazione storica, fin dai tempi di Aristotele e Quintiliano, ha sempre portato con sé una certa dose di retorica, la quale ha colorato i fatti raccontati con sfumature che non sempre mantenevano fede alla celebre formula di Otto Ranke, e cioè «descrivere le cose per come sono avvenute» (wie es eigentlich gewesen). Ma tale retorica accompagna, solitamente, le descrizioni e/o narrazioni di cui la base documentale non è del tutto certa. Quando siffatta base documentale è attestabile con certezza, allora il narratore solo con molta difficoltà potrà colorare i fatti con tinte che non gli appartengono o, peggio ancora, con riscritture, tagli o invenzioni di sana pianta. Quando ciò dovesse accadere non ci sarebbero molti dubbi sul fatto che si tratti di una riprovevole falsificazione storica.

Arrivando alla fine della visione di Frost/Nixon di Ron Howard (Universal Pictures, 2008) non si può non provare la sensazione di trovarsi di fronte ad una brutta operazione di revisionismo e di falsificazione storica.

Eppure, più o meno fino al minuto 104 il film si stava rivelando, pur con alcuni concessioni di troppo, un’ottima pellicola. Soprattutto ci stavamo godendo uno spettacolo orami raro nel cinema odierno, e cioè l’ottima performance attoriale dei due straordinari interpreti, che praticamente stanno sulla scena ogni minuto del film. In questo senso si è rivelata eccellente la scelta di Howard di affidarsi agli attori che già interpretavano la pièce teatrale che tanto successo stava e sta ancora riscuotendo a Broadway. Ma anche la regia, nella scelta, quasi obbligata ma gestita con sapienza, di trasformare una vicenda che sostanzialmente verteva su di un’intervista politica (cioè non proprio il materiale più adatto per i ritmi serrati del cinema odierno) in uno scontro dal sapore epico, aveva fin lì rapito lo sguardo e, perché no, emozionato.

Tutto questo, però, crolla intorno al minuto 104, trasformando anche molto di ciò che fin lì c’era stato di buono quasi in una carnevalata – da intendersi nel preciso senso di un mondo alla rovescia dove avvengono cose che nella realtà non sono mai successe e mai succederanno – e di cui non se ne capisce il senso. Perché se una pellicola su avvenimenti storici si regge tutta su di un punto, che però si rivela essere fasullo e inverosimile, allora crediamo che il film, per quanto buono a livello tecnico/artistico, cada nella sua totalità.

Ma cosa succede esattamente in questo minuto? Cosa accade di così grave?
Per capirlo è forse opportuno ripercorrere brevemente le vicende e il contesto dai cui il film prende spunto (e chiediamo scusa per la generalizzazione e semplificazione di un argomento così vasto e complesso).
Il 9 agosto 1974 Richard M. Nixon, il 37mo Presidente degli Stati Uniti, rassegna le dimissioni dalla carica al fine di evitare ciò che tutti davano oramai per scontato, e cioè la procedura di impeachment e il conseguente processo per gli eventuali capi d’accusa che gli si sarebbero potuti imputare a seguito delle rivelazioni succedute allo scandalo del Watergate (per chi non ne fosse a conoscenza è possibile consultare l’ottima voce di Wikipedia Inglese: "Watergate_scandal".

Com’è noto il Watergate fu una sorta di vaso di Pandora, il quale rivelò una serie di abusi di potere dell’amministrazione Nixon e fece precipitare il paese in quella che viene considerata la più profonda crisi istituzionale della sua storia.
Nixon, di fronte a tale crisi (che si trasformò anche in una drammatica impasse civile e morale) si fece da parte: famosa fu l’affermazione fatta nel 1977proprio a David Frost – autore delle interviste da cui prende spunto la pellicola do Howard – : «I have impeached myself», e che curiosamente, e secondo noi erroneamente, Howard ha scelto di non riportare. E se ora non abbiamo più la misura di quanto fosse grave la crisi, basti pensare al livello di tensione a cui si era giunti, almeno stando a certe preoccupazioni che circolavano allora. In un paese profondamente diviso, percorso da vari focolai di protesta sempre crescente, e con un presidente che riteneva di stare al di sopra della legge (sempre a Frost ebbe a dire: «When the President does it, that means that it is not illegal») e soprattutto convinto che i suoi accusatori, anche se erano espressione dello stesso congresso americano, fossero nel torto, era al contempo il comandante in capo delle forze armate (che quindi ubbidivano a lui e non al congresso o al senato), facendo così aleggiare nella mente di più di una persona – in maniera forse eccessiva, ma non impossibile vista la figura complessa e dai tratti autoritari come era quella di Nixon – la possibilità di una sorta di «18 brumaio» statunitense. Tralasciando scenari che si confanno più a trame come “Sette giorni a maggio” che alle vicende storiche effettive, sta di fatto che il successivo perdono presidenziale concesso a Nixon dal suo successore - Gerald Ford – per ogni suo eventuale crimine commesso, nonostante abbia messo fine alla vicenda istituzionale, ha però lasciato nel paese un profondo senso di malessere e ingiustizia, non permettendo il pieno accertamento dei fatti e soprattutto dell’effettiva responsabilità di Nixon.

Nixon scelse l’esilio in California, presso “La Casa Pacifica” a San Clemente, ma un’uscita così indecorosa dalla scene pubbliche non si confaceva proprio alla sua persona. Ed è anche per questa ragione (oltre che per il lauto compenso offertogli) che tre anni dopo le sue dimissioni, decise di concedere un’intervista al giornalista inglese David Frost nella quale avrebbe voluto offrire agli americani l’immagine che lui riteneva adeguata alla propria figura di statista. È vero, infatti, che pur nella ignominia della sua uscita di scena, Nixon è stato, lo accennavamo, una figura estremamente complessa, che ha segnato più di un quarto di secolo di storia americana. È indubbio che sia stato uno presidente controverso – forse il più controverso della recente storia statunitense –, che ha commesso diverse scelte sbagliate ed errori giudicati spesso imperdonabili: il bombardamento segreto e ingiustificato della Cambogia nel 1970 e il bombardamento del Nord Vietnam nel 1972, appoggio più o meno diretto all’escalation delle dittature militari sudamericane, gestione poliziesca del dissenso interno; anche i Pentagon Papers venivano a lui totalmente accollati, nonostante accusassero più o meno tutti i presidenti americani succedutisi dal 1945 in poi – soprattutto Kennedy e Johnson – di avere mentito sul coinvolgimento americano in Vietnam e le sulle reali ragioni dell’impegno americano nel sud est asiatico; ma Nixon è anche stato colui che più di ogni altro ha avviato e difeso una politica della distensione con l’Unione Sovietica e soprattutto con la Cina (uno dei suoi successi politici più importanti), che ha disimpegnato le truppe dal Vietnam (anche se oramai era tardi e forse avrebbe dovuto e potuto farlo fin dal 1969, visto che ciò che ha ottenuto nel 1973 era più o meno la stessa cosa offertogli dai nord vietnamiti proprio nel 1969); e anche sul fronte delle iniziative interne la sua amministrazione fu una elle più attive. Tutto ciò però scompariva di fronte all’enormità del suo “presunto” abuso di potere, e solo il Watergate era associato alla sua figura. Per gli americani Nixon era sempre e solo Tricky Dick. Ecco allora l’idea di auto-assolversi in televisione, lo stesso strumento che a detta di molti fu la sua rovina nelle elezioni presidenziali del 1960. E magari perché non fare in modo che colui che fosse stato deputato ad intervistarlo non abbia quel background politico che rischi di metterlo in qualche modo in difficoltà? Da qui l’idea di coinvolgere David Frost, giornalista di discreto successo in Inghilterra, ma che forse non aveva quella dimestichezza con gli uomini politici, soprattutto quelli dello spessore di Nixon. Anche se non è del tutto vero che Frost fosse quello sprovveduto che anche il film di Howard vuole lasciare intendere, di certo non si può dire che il suo curriculum presentasse credenziali tali da impensierire un personaggio come Richard M. Nixon.

Ma le cose, che teoricamente apparivano già scritte, all’atto pratico si rivelarono ben diverse da come forse le aveva immaginate Nixon. Innanzitutto Frost si accordò per un’intervista nella quale le domande non sarebbero state mostrate in anticipo, cosa che se generò qualche perplessità nello staff di Nixon, probabilmente non impensierì un politico che aveva avuto a che fare con i più grandi uomini politici del suo tempo, in un momento della storia mondiale (gli anni sessanta-settanta) che dire problematico è poco. Ma oltre a questo, si verificò un qualcosa che Nixon probabilmente non si aspettava, e cioè che Frost non si presentò come un semplice “sparring-partner” (la metafora pugilistica è intenzionale, anche per i motivi che tra poco esporremo), rivelandosi essere un giornalista tenace e tutt’altro che malleabile.

Il risultato fu una delle più importanti interviste, non solo televisive, del 20mo secolo, nonché uno dei programmi di informazione politica con il più alto share della storia della televisione americana: 45 milioni di spettatori hanno visto il primo dei 4 episodi da 90 minuti (che sono state editate su più di 25 ore di registrato) trasmesso il 19 maggio 1977.

Questi dati, insieme all’eccellente “performance” di Frost, hanno creato lo spunto per la pièce teatrale realizzata da Peter Morgan, e rappresentata per la prima volta nel 2006. Lo stesso Morgan ha poi curato anche la sceneggiatura del film.

Ora, quale è la “tesi” su cui Peter Mogan costruisce la sua pièce? Il fatto che Nixon in questa intervista abbia ammesso la sua colpa e che Frost sia riuscito dove invece giudici, senatori, investigatori, costituzionalisti e chi ne ha più ne ha più ne metta, avevano fallito: incastrare Richard M. Nixon.

Il film prende questa tesi e la amplifica a dismisura con tutta la retorica propria dell’arte cinematografica. Tutto è magistralmente orchestrato per creare il coinvolgimento dello spettatore nella vicenda narrata. Ma non solo questo. Howard decide che l’unica via per rendere appassionante il film sia quella di trasformare il “duello” tra Frost e Nixon in un confronto stile Rocky, uno scontro impari e quasi impossibile tra due personaggi molto diversi. E infatti gli ingredienti di un buon Rocky che si rispetti saltano immediatamente agli occhi.

Vediamo cosa ci spinge a paragonare due film così apparentemente diversi per stile e contenuti. Il personaggio di Frost viene descritto come uno showman che attraversava un momento di crisi (cosa peraltro categoricamente smentita dallo stesso Frost subito dopo la visione del film) e gli si presenta l’occasione della vita per riscattarsi e costruirsi una nuova occasione: affrontare il «campione dei pesi massimi» della politica, l’imperatore che ha abdicato, ma che non è ancora stato sconfitto. Difficile non notare la somiglianza con le figure di Rocky Balboa e Apollo Creed. Ma è tutta la ricostruzione del duello che viene realizzata come se fosse un incontro di Boxe alla Rocky. Le giornate delle interviste scandite come round, e nelle quali alla fine di ognuna si celebra il vincitore e si fa la conta dei punti presi o persi. Gli staff dei due contendenti come i «secondi» che stanno all’angolo delle rispettive postazioni. Ma più di ogni altra cosa, è la descrizione dell’andamento del duello che ricorda Rocky. Nei primi «round», nonostante l’inaspettata partenza a razzo di Frost con la celebre domanda a bruciapelo – Why didn’t you burn the tapes? – che spiazza Nixon (ricordate il sinistro di Rocky nel primo round con Apollo?), la situazione sembra volgere sempre di più a favore di Nixon, il quale grazie alla sua grande esperienza riesce a controbattere e lentamente a portare il “match” dalla sua parte (peraltro la brillante risposta di Nixon a quella prima domanda si è ora dimostrata essere una spudorata menzogna; infatti come è possibile evincere dalle registrazioni del 18 aprile 1973, Nixon chiese esplicitamente a Bob Haldeman, il capo di gabinetto, cioè il più importante membro dell’ufficio esecutivo del Presidente degli Stati Uniti, di bruciare molti dei nastri: President Nixon: Most of it is worth destroying. Would you like, would you do that? Haldeman: Sure). Nel film le cose vanno sempre peggio per Frost, e anche i suoi collaboratori, di fronte all’inarrestabile Nixon che sembra aver messo alle corde lo sprovveduto showman britannico, sembrano abbandonarlo, o quantomeno perdere fiducia in lui. Fosse solo questo non sarebbe neanche una situazione disperante, ma come in una spirale senza fondo anche i vari sponsor di Frost cominciano a scaricarlo, facendogli così perdere contratti di lavoro. Nel film sembra quasi che i suoi datori di lavoro sapessero dell’andamento disastroso di questa sua intervista, cosa che ovviamente appare inverosimile, ma che risulta perfetta dal punto di vista del climax cinematografico: «solo chi sbaglia in grande, in grande può risorgere». Quale topos letterario è migliore di questo per ingraziarsi gli spettatori? La grande occasione della vita sembra così trasformarsi nel peggiore degli incubi. A quel punto avviene l’inaspettato. Nel suo momento peggiore, Frost riceve a tarda sera un’improvvisa telefonata di un Nixon ubriaco che sembra rivelare la sua colpevolezza e sfidarlo allo showdown finale di pochi giorni dopo (cioè il momento culminante in cui si scoprono le ultime carte per la resa dei conti, e ci sembra che qualcosa del genere accada anche in uno dei primi due Rocky, con Apollo che telefona a Rocky, manifestandogli in privato ammirazione, per poi sconfessare tutto ciò in pubblico). Ovviamente questa telefonata non è mai avvenuta, e da buon mestierante Howard si premunisce rispetto ad eventuali critiche con due mosse ben assestate. La prima consiste nel far si che la telefonata di Nixon avvenga senza che siano presenti altri testimoni. E infatti vediamo la compagna di Frost allontanarsi dalla stanza per uscire a comprare da mangiare e poi tornare solo a cose fatte, trovando un Frost ben diverso da come lo aveva lasciato. Ora è un turbine di efficienza giornalistica, carico e sicuro di sé (anche questo aspetto, la fase depressiva e la fase esaltata dell’allenamento/sfida, ricorda Rocky). Il secondo stratagemma per rendere inattaccabile l’invenzione della telefonata, è quello di sfruttare la nota propensione all’alcool di Nixon. La telefonata avviene in stato di ubriachezza e Nixon non si ricorda neanche di aver fatto quella chiamata. Infatti alla fine del film l’Ex-Presidente chiede a Frost di che cosa avrebbero discusso in quella telefonata. D’altronde Nixon, nelle sue memorie, non accenna mai a tale evento. Ma per il film è il turning point fondamentale. Frost spossato e demoralizzato dai “round” precedenti, tenta l’ultimo colpo di coda proprio nella «ripresa» finale. E ci riesce!!! Frost, coadiuvato dal suo ricercatore assesta all’ultimo minuto un knock-out decisivo a Nixon e lo incastra: il presidente è costretto a dichiarare la sua colpevolezza di fronte al pubblico americano. Il film termina così, con la disfatta del campione Nixon e il trionfo dell’outsider Frost. Frost/Nixon è, quindi, la storia dell’inaspettata vittoria di un perdente (di fronte al mondo che non credeva lui potesse farcela) su un campione affermato, e che in questo modo diventa un eroe per essere riuscito a incastrare colui che nessuno era mai riuscito ad incolpare. Giustizia è fatta.

Che dire? Se non rappresentasse personaggi reali e affermazioni registrate e incontestabili, Frost/Nixon sarebbe un ottimo film di intrattenimento. Purtroppo dalla realtà delle interviste si può desumere uno scenario ben diverso, uno scenario dove non è accaduto nulla di tutto ciò che vediamo sullo schermo, anzi dalla visione degli originali è possibile stabilire che in verità è avvenuto l’esatto contrario di quanto Howard vorrebbe farci credere.

FROST/NIXON ci dà l’occasione per una riflessione sui limiti dell’interpretazione cinematografica, sulla responsabilità del cineasta e sui rapporti tra storia ed entertainment. Quand'anche non si voglia attenersi alle testimonianze documentali, è da considerarsi legittima, infatti, la falsificazione di documenti storici allo scopo di creare un'opera di entertainment solo per creare, appunto, entarteinment e niente altro? Ci sono infatti diverse ragioni, non solo quella che subito vedremo essere la più evidente, per rifiutare la metodologia di Morgan/Howard.

Iniziamo, quindi, con il mostrare più in dettaglio il punto incriminato.
Come detto in apertura, al minuto 104 circa (il momento topico del film) Nixon, interpretato da Langella, afferma questo:
“But, yes, I will admit there were times I did not fully meet that responsibility and I was involved in a cover-up, as you call it” (Ma sì, ammetto che ci furono delle volte nelle quali non ho corrisposto alle mie responsabilità e fui coinvolto in quella che lei definisce “cover-up”).

In altre parole Nixon confessa pubblicamente di essere colpevole. Peccato, purtroppo per Morgan/Howard, che ciò non sia mai avvenuto. Infatti Nixon al posto della confessione inventata da Morgan, afferma qunto segue:
“No, I...ah, I did not in the first place commit a crime of obstruction of justice. Because I did not have the motive required for the commission of that crime (…) You're wanting me to say that I...um..articipated in an illegal cover-up? No! No!" (No, io non ho commesso alcun reato di ostruzione della giustizia. E questo perché non avevo alcun motivo per commettere questo reato. Lei vuole che io dica di essere coinvolto un una “cover-up” illegale? No! No!).

Qui il link al video in cui Nixon afferma quanto riportato.

E poco più avanti Nixon aggiunge:
“And so I can only say that in answer to your question that while technically I did not commit a crime, an impeachable offence - these are legalisms. As far as the handling of this matter is concerned, it was so botched up, I made so many bad judgments” (Quindi, in risposta alla sua domanda posso solo dire che nonostante tecnicamente io non abbia commesso un reato, un’irregolarità passibile di impeachement, questi, però, sono formalismi (sofismi legali). Per tutto ciò che riguarda la gestione di questa cosa, era un grande pasticcio (così incasinata), e io ho commesso così tanti errori di valutazione…”)

Non crediamo ci sia bisogno di essere dei raffinati filologi per capire che Nixon, stando ai documenti ufficiali, ha affermato l’esatto contrario di quanto Morgan e Howard gli fanno poi dire nella finzione cinematografica. Morgan, in altri termini, trasforma la sua opinione, cioè che Nixon abbia confessato la sua colpevolezza, in una prova controfattuale documentata. Delle frasi sopracitate durante tutta la pellicola non ne viene menzionato neanche uno stralcio. La ragione appare evidente: avrebbero sconfessato la frase inventata da Morgan, e, di fatto, reso inutile l'intera pellicola, che verte tutta quanta su quell'ammissione di colpevolezza mai pronunciata realmente.

E siamo dell’idea che non ce la si possa cavare tirando fuori la storia che si tratti di un’interpretazione. Non c’è nessuna atto interpretativo, fosse anche Jacques Derrida a proporlo, che tenga: Nixon ha esplicitamente negato di aver commesso un qualsivoglia reato. Come lo possiamo affermare con sicurezza? Ci viene in mente come il senatore Sam Ervin (presidente della commissione sanatoriale d’inchiesta sul Watergate) il 24 luglio 1973 rispose a John Ehrlichman (il consigliere per la politica interna di Nixon) che cercava di fare quelli che oggi si potrebbero definire come giochetti «decostruzionisti» applicandoli al testo della Costituzione Americana, affermando, in risposta alle pressanti domande di Ervin: “come fa ad essere sicuro che non è come dico io”? «Perché conosco l’inglese abbastanza bene, è la mia lingua madre» rispose brillantemente Ervin, suscitando le risa dell’intera assemblea, e anche dello stesso Ehrlichman. Noi forse l’inglese non lo padroneggiamo bene come Ervin, ma lo conosciamo abbastanza da poter escludere ogni possibile interpretazione delle parole di Nixon al di là del: «No! Non ho commesso alcun reato».
Qui riproduciamo il link al simpatico scambio di battute tra Ervin e Ehrlichman (che peraltro ci pare possedere una cinematograficità tale - pari a quella messa in scena da Howard - che lo rende adatto al tema in oggetto). Se avete tempo vedetelo, anche perché è divertentissimo.

Insomma, al pari della filologia non bisogna essere degli storici affermati per comprendere che questa, altro non è che una frode intellettuale e storica. Non si tratta di una aggiunta di una conversazione di Nixon, sulla quale, non essendoci prove documentali, il narratore, ai fini drammaturgici e magari nel rispetto di tutto ciò che è possibile ricostruire dalle fonti che del personaggio abbiamo a disposizione, avrebbe anche potuto inserire al fine di mostrare la sua ricostruzione dei fatti e della psicologia del personaggio. Nel film di Howard siamo in presenza di una manipolazione di fonti documentali certe e non interpretabili. In altre parole – lo continueremo a ripetere più volte, al costo di essere tacciati di ridondanza (ma l’inaccettabilità del misfatto deve essere ripetutamente denunciata) – siamo di fronte ad una vera e propria frode che, volontaria o meno che sia è indifferente, trasmette una visone distorta e menzognera di ciò che è realmente accaduto.

Si può solo tentare di capire la logica che ha portato Morgan ad immettere quell’interpolazione fasulla. Crediamo, ma la nostra è solo un’ipotesi, che ci si sia basati sulla sulle reali parole di Nixon, di poco precedenti a quelle citate, e in cui egli afferma:
«No, I again respectfully will not quibble with you about the use of the terms. However, before using the term I think it's very important for me to make clear what I did not do and what I did do and then I will answer your question quite directly. I did not in the first place commit the crime of obstruction of justice, because I did not have the motive required for the commission of that crime».

Interpretando ellitticamente, molto ellitticamente, tali affermazioni, Morgan ha probabilmente pensato che Nixon stesse usando l’escamotage della differente interpretazione da dare a “cover-up”, per affermare che egli abbia ammesso di aver commesso l’insabbiamento senza, però, ammetterlo esplicitamente; cioè Nixon non ritiene l’operazione di “cover-up” un reato perché per lui l’insabbiamento come reato è un altra cosa rispetto all’insabbiamento nel senso inteso da Frost. In altre parole: «se lei intende questo con cover up allora ha ragione, ho commesso un reato, ma nel mio senso non è così, quindi non sono colpevole». Ma questa, si potrebbe pensare, è pur sempre un ammissione di colpevolezza, quindi è possibile aggiungere la frase inventata.

Non sappiamo se sia andata proprio così, e Morgan abbia pensato per questa ragione di essere legittimato ad interpolare l’intervista originale con una affermazione inventata. Ma se così fosse, il ragionamento fatto per giustificare tale interpolazione sarebbe ugualmente fallace. Infatti, dalla dichiarazione di Nixon non sembra emergere cotale significato, secondo il quale egli stava tacitamente ammettendo di aver insabbiato i fatti attraverso il sotterfugio del diverso significato da attribuire a “cover-up”, e quindi solo nel senso che Frost dava all’espressione cover-up. Anche in questo scorcio di dialogo, infatti sembra emergere soltanto che Nixon non era d’accordo con l’utilizzo che Frost faceva dei termini e chiedeva una maggiore precisione terminologica. Ma che un significato del termine sia legittimo mentre un altro no, o tutt’al più che ci sia una cover-up legittima ed un’altra illegittima, beh…questo non viene mai affermato da Nixon. Nulla di più, nulla di meno.

Quindi questa è la seconda ragione che ci spinge a sostenere con maggiore sicurezza rispetto all’evidenza della esplicita negazione nixoniana eliminata e/o riscritta nella pellicola, che nella realtà delle interviste con Frost, Nixon non ha mai ammesso di aver commesso un reato. Quello che emerge dai documenti è semplicemente un ottima intervista, come accennato una delle più importanti del Novecento, ma la loro importanza deriva anche dal fatto che sono interviste fatte seriamente e che non posseggono nulla di tutta la retorica hollywoodiana messa in atto da Howard. Nixon, seppur in difficoltà diverse volte, non appare mai abbattuto e sconfortato, sconfitto e messo all’angolo, come ci viene presentato dopo il minuto 104. La realtà è che Frost, con la sua abilità e riuscito a contenere Nixon, mettendolo più volte in difficoltà e non permettendogli di crearsi quella sorta di auto-apologia che probabilmente aveva in mente di realizzare. E già questo va a suo merito. Anzi Nixon ha dovuto più di una volta barcollare sotto le incalzanti domande del giornalista britannico, peraltro offrendo un commovente ritratto di uomo schiacciato dal peso delle sue responsabilità. Anche se a pronunciarla è il miserabile Tricky Dick, la sua amarezza per aver condotto, con i quelli che lui considerava sbagli ed errori (non reati!) il paese in uno stato di profonda prostrazione sociale, civile e morale, ci è sembrata bella e sincera.

"I'm sorry ... I let down my friends, I let down the country, I let down our system of government and the dreams of all those young people that ought to get into government ... I let the American people down. And I'll have to carry that burden the rest of my life. (Mi dispiace ... ho deluso i miei amici, ho deluso il paese, ho deluso il nostro sistema di governo e i sogni di tutte quelle giovani persone che credono in questo sistema…ho deluso il popolo americano e ne porterò il peso per il resto della mia vita).

Qui il link al video in cui si può ascoltare e vedere il pentimento autentico di Nixon per gli errori commessi (al termine si può ascoltare anche il passo precedentemente citato in cui Nixon afferma nuovamente di non aver commesso alcun reato, almeno nei termini della legge).

È nostra opinione che questa affermazione, come molte altre delle interviste, contengano materiale sufficiente per un’ottima drammatizzazione, e che quindi l’interpolazione non sarebbe stata necessaria. Ma l’intento di Howard appare chiaro: la drammatizzazione non basta per “acchiappare” il pubblico, bisogna creare uno scontro alla Rocky, un giallo alla Maigret, con il commissario che incastra il colpevole. Senza quella interpolazione, ci sembra giusto ripetere anche questo, cade infatti tutto il film che è costruito solo ed unicamente in vista di quella affermazione.

Ci si potrebbe legittimamente rispondere che la nostra è una esagerazione, e che il film e la pièce non vogliono essere un documento storicamente attendibile, ma creare semplicemente un’opera drammaturgica che intrattiene gli spettatori con sagacia e mestiere. Tale risposta, di fronte alla visione del film e soprattutto di fronte alla reazione degli spettatori, come anche di molti critici (che da quello che scrivono sembrano ritenere che Nixon abbia confessato la sua colpevolezza e Frost sia stato colui che lo ha incastrato), non è pienamente sostenibile. Se anche l’intento non fosse stato quello di fare una sorta di documentario attendibile, si sarebbe dovuto avere almeno il buon cuore di pensare, visto il potere del cinema nell’influenzare l’opinione pubblica, cosa tale fiction rischia di diffondere nelle menti degli spettatori. «C’è la possibilità che il film faccia credere una cosa che storicamente non è mai avvenuta?» Questa è la domanda che secondo noi gli autori avrebbero dovuto chiedersi, e la risposta, confermata dai fatti, sarebbe dovuta essere: «Si, questo film nonostante non sia realizzato con intento documentale, crea disinformazione».

Ciò non è ammissibile, anche se si tratta di una ricostruzione cinematografica. A meno che non si ponga in esergo una dicitura che espliciti chiaramente che non si tratta di una ricostruzione storica, bensì di un'opera di fantasia e/o parzialmente di fantasia. Cosa, questa, che ovviamente non è presente nel film attualmente in programmazione. Nota è, infatti, la vicenda che riguradò il famoso "Il codice da Vinci" di Dan Brown. Il presunto saccentissmo Brown mise in esergo, nella prima edizione del libro, che il suo romanzo si basava su una attndibile e documentata ricostruzione storica. Ebbene, dopo che le sue presunte "verità" sono state facilmente smascherarte come delle sciocchezze senza alcuna attendibilità storica (con l'aggiunta di grossolani errori sparsi qui e lì) il suddetto esergo non è stato più pubblicato nelle successive edizioni. Bisogna riconoscere che Brown e/o gli editori sono almeno stati onesti. Insomma, siamo d’accordo che Howard non sia uno storico, ma da un regista e dai suoi collaboratori ci si aspetterebbe quantomeno onestà intellettuale, cosa che però ci sembra venire disattesa.

D’altronde, la natura subdola dell’operazione di riscrittura a cui assistiamo emerge con più chiarezza allorquando si presti attenzione al fatto che non si è scelto di fare un Nixon alternativo, che tout court affrontava le sue colpe. Si è invece inserita una invenzione in un contesto di affermazioni vere, «un’interpolazione nelle carte autentiche», come giustamente sosteneva Marc Bloch, definendo tale operazione come la più insidiosa delle forme di frode intellettuale e storica. In tal senso (ed è la terza ragione che ci spinge a rinnovare la nostra accusa) per quanto si possa concedere una certa libertà artistica all’autore crediamo che si debba ugualmente condannare il fatto che tutta la costruzione di questa tesi sia una completa invenzione dell’autore, la quale non emerge in nessun punto dell’intervista di Frost (che per fortuna è stata rieditata in DVD all'inizio di Dicembre 2008 e che abbiamo avuto modo di vedere appena uscite).(che forse voleva rappresentare una realtà alternativa – il famoso “se…” di tanta science fiction – dove si consumava l’ammissione di colpevolezza di Nixon di fronte al pubblico americano; ma anche se si fosse voluto realizzare quello che si suole chiamare "esperimento mentale" ciò avrebbe dovuto essere seguito da una ragione che ne giustificasse l'utilizzo: ipotizziamo che le cose siano andate così per analizzare queste o quelle conseguenze "a livello teorico". E ciò sarebbe legittimo. Ma ciò non è il caso di Frost/Nixon il cui ragionamento sambra invece essere: facciamo questo "esperimento mentale" (la confessione di Richard M. Nixon) per far riflettere su cosa? Su niente, lo facciamo perchè è più "figo" e più coinvolgente! Matthiessen, il grande studioso americano della prima metà del XX secolo, autore di un libro come “La responsabilità del critico”, ebbe a dire: «La vera funzione del sapere, come quella della società, non è di stabilire prerogative che altri non debbano usurpare, ma di creare una comunità di conoscenze di cui altri possano partecipare». Possiamo ipotizzare che Howard e Morgan, almeno da quanto emerge nel film, non considerino questo appello una delle loro principali norme di responsabilità intellettuale.

Nel 1995, a ridosso della morte di Nixon, Oliver Stone fece uscire un film che cercava di restituire all’opinione pubblica la complessità tragica dell’ex presidente. Ne uscì un film complesso e contraddittorio, non perfetto, come Nixon stesso, ma forse uno dei migliori di Stone. Ebbene, Stone per più di una volta si lascia andare a scene e dialoghi completamente inventati, come quello avvenuto al Lincoln Memorial la notte del 9 maggio 1970, di cui si hanno scarsissime e frammentarie testimonianze: in questo caso il discorso tra Nixon e gli studenti si trasforma in una memorabile e brachilogica “lezione” sulla natura del capitalismo: Student: Than what's the point? What's the point of being President? You're powerless! Nixon: No! No I'm not powerless. Because I understand the system. I believe I can, Uh, control it maybe, not control it totally, but, tame it enough so it can do some good. Student: Sounds like your talking about a wild animal. (…)Nixon: She understood something what it has taken me 25 years in politics to understand. The CIA, the Mafia, those Wall Street bastards. Bob: Sir? Nixon: The beast, a 19 year old kid, she called it a wild animal, Ma anche l’affermazione che Nixon ad un certo punto fa sulla strage di Kent, condannando in privato l’operato della polizia e concludendo con la bella risposta dialettica data a chi gli chiedeva di porgere delle scuse ai famigliari degli studenti rimasti uccisi: «No! Io lo potrei fare, Nixon no». Nel Nixon di Stone la costruzione dei dialoghi, anche quelli inventati di sana pianta, sembra procedere da una sì personale, ma anche rigorosa, ricostruzione della personalità di Nixon, cosa che permette di non lasciarsi andare a dialoghi che mai, sulla base documentale della struttura caratteriale del personaggio, potrebbero essere tacciati di essere completamente inverosimili. Morgan/Howard sembrano perseguire un'altra strada, quella dell’opportunistica invenzione non basata su alcunché, e che non sembra rispecchiare affatto il carattere e la psicologia di Nixon. Perché se mai nella sua vita Nixon ha affermato di aver commesso un crimine, ciò deriva dalla sua convinzione incrollabile di essere innocente e, seppur in mezzo a sbagli ed errori, nel giusto, convinzione che lo ha portato addirittura a spingere il paese sull’orlo del baratro. Ora, invece, ci si vorrebbe far credere che accerchiato da tutti (giornalisti, senatori, giuristi, consiglieri etc.), Nixon, dopo aver portato il paese sul baratro pur di non ammettere di aver commesso un reato, prende e improvvisamente confessa di essere colpevole davanti a milioni di spettatori in base a domande si pungenti, ma non così decisive come il film vuol mostrare. Lo stesso Stone mette in scena diversi discorsi reali di Nixon, ma giustamente le parole di questi dialoghi vengono mantenute inalterate (come secondo noi dovrebbe sempre essere). Cosa si penserebbe se si decidesse di fare un film sul famoso discorso di Kennedy a Berlino e il regista scegliesse di cambiare la frase “Io sono un berlinese” con “Io sono un nazista e antisovietico guerrafondaio” in base alla sua libera interpretazione drammaturgica secondo la quale Kennedy abbia voluto in realtà dire questa cosa? Lasciamo a voi il giudizio. Emerge più chiaramente, poi, quanto accennavamo all’inizio dell’analisi. Infatti, se è vero che Stone (o altri registi che hanno affrontato grandi personaggi storici) inventa delle linee di dialogo, queste scene non costituiscono il centro del film, ma fungono da contorno, da particolari si importanti ma non decisivi dell’affresco più generale. Quando invece un film si incentra e si regge unicamente sulla linea di dialogo inventata al fine di condurre a compimento la propria tesi sul personaggio e/o la vicenda, allora le cose, ed è triviale anche il solo scriverlo, assumono i contorni sopradescritti della frode e della menzogna, rendendo di fatto inutile il film. (per quanto bene esso sia reaizzato) Perché, onestamente, se si toglie la suddetta tesi, cosa rimane del film di Howard? Delle belle interpretazioni e un ottimo ritmo, ma niente di più. Niente informazioni, nessun approfondimento, della vicenda e della complessità dei personaggi. FROST/NIXON si basa e trova forza unicamente su quella tesi, che una volta rilevatasi fasulla rende il film, quand’anche non lo si voglia interpretare come intellettualmente e moralmente disonesto, sostanzialmente inutile. Sarebbe come vedere Valkyrie di Brian Singer (il film con Tom Cruise, appena uscito, che narra le vicende del fallito attentato a Hitler del 20 luglio 1944) e assistere alla mai realmente avvenuta morte di Hitler, cosa che Singer ovviamente non mette in scena, attenendosi ai fatti. Che senso avrebbe? Ed è questo è il punto cruciale: che senso?

Tornando alla questione principale, come accennavamo in precedenza la linea che Nixon, nonostante l’inaspettata bravura di Frost, è riuscito a mantenere durante tutta la durata dell’intervista, è stata: ammettere errori, sbagli, mai colpe o reati. E così è nell’intervista che è stata realizzata nel 1977. E non è neanche improbabile che tale linea di condotta, sia stata in realtà proprio ciò da cui è scaturita l’idea di lasciarsi intervistare. D’altronde Nixon sapeva benissimo, e questa fu la sua forza nel negare ripetutamente ogni addebito, che probabilmente in un eventuale processo anche tutte le prove prodotte dalla commissione del congresso sul Watergate, probabilmente non sarebbero state sufficienti per condannarlo. Infatti è opinione anche di alcuni storici, che nonostante tutte le prove emerse, esse non siano sufficienti per stabilire con chiarezza la sua colpevolezza. È vero che in alcuni momenti Nixon sembra lasciarsi andare ad affermazioni che da qualcuno potrebbero essere interpretate come una sorta di tacita ammissione. Un ammissione di colpevolezza? Ovviamente no.

Qualora quanto osservato non fosse ancora completamente soddisfacente, che l’ammissione di colpevolezza non emerga dalle registrazioni originali non fosse così c’è lo conferma proprio il fatto che lo sceneggiatore sia dovuto intervenire nelle trascrizioni originali aggiungendo un’interpolazione completamente inventata e tagliando tutto ciò che contravveniva alla sua tesi. Questo infatti fanno Morgan e Howard: mettere in bocca ad una persona affermazioni che egli non ha mai fatto, quando anzi ha esplicitamente affermato l’esatto contrario di ciò che emerge dalla political fiction di Morgan.

In conclusione - ed è l’ultima volta che lo ripetiamo, anche se speriamo che le argomentazioni abbiano giustificato attraverso ragioni diverse tali noiose ripetizioni – questo film mette in scena una deliberata falsificazione storica: Frost non ha mai "incastrato" Nixon e Nixon non ha mai ammesso di essere colpevole, come più volte ribadito nelle interviste originali. Nixon ha ammesso di aver fatto dei pessimi errori di valutazione, ma che questi errori non hanno mai varcato la linea della legalità, per così trasformarsi in reati.

Vorremmo però precisare che qui non si tratta di essere più o meno d’accordo sul fatto che Nixon sia stato più o meno colpevole. Noi infatti crediamo che lo fosse, anche se le prove a suo carico, come già detto, non è chiaro se fossero sufficienti ad incriminarlo. Infatti rimaniamo fedeli all'idea che per sostenere un'accusa di tal fattura (che riscrive nell’opinione pubblica la figura di un personaggio storico di grande, anche se controversa, importanza) ci vogliono prove certe e documentate, non opinioni e/o frasi mai pronunciate interpolate solo al fine di ottenere uno scopo prefissato di dire a noi stessi - e a coloro che piacerebbe ciò - che le cose sono come noi vorremmo che fossero.

E quale sarebbe poi questo scopo? Questa è la domanda che dovrebbe essere fatta. Creare una realtà alternativa nella quale un uomo politico afferma ciò che a noi piacerebbe avesse affermato? Che senso ha, continuiamo a chiedercelo insistentemente, fare un film incentrato totalmente su una cosa mai avvenuta? Più o meno lo stesso senso che avrebbe una scena del “Il Divo” dove al processo si fa confessare Andreotti di essere mafioso. E poi, per ottenere cosa? Una catarsi collettiva di fronte ad una pagina buia della propria storia al fine di far credere che in America i criminali (anche se ricoprono ruoli importanti ai vertici dello Stato) sono sempre incastrati e non la passano mai liscia? Convincere gli americani dell’opinione degli autori, cioè che Nixon fosse colpevole? Ma per piacere!

PS
Tutto quanto qui argomentato si basa sui documenti disponibili per la consultazione
: memorie autobiografiche, le interviste ufficiali di Frost, la letteratura su Nixon che siamo riusciti a consultare: ad esempio Ambrose, Green, Drew, Greenberg, Hoff, Friedman, Genovese, Kutler, Olson, Schudson. In questo senso non abbiamo potuto consultare tutte le ore dell’intervista a Nixon tagliate dal montaggio della trasmissione ufficiale (l’unica che è possibile consultare). Se la frase da noi incriminata dovesse essere presente in queste parti inedite, che gli autori non è improbabile (almeno lo speriamo) abbiano avuto modo di consultare, ciò vorrà dire che a diventare priva di valore e fallace sarebbe la nostra analisi. Ragion per cui, se questo fosse il caso, porgeremo immediatamente le nostre scuse agli autori e ritireremo tutte le nostre accuse. Nonostante ciò, abbiamo cercato in tutti i modi di rintracciare, nella vasta letteratura su Nixon ricordata, una qualche affermazione che suggerisca l’idea che Nixon, nelle ore di intervista tagliate, abbia affermato quanto fattogli dire da Morgan . Non non ne abbiamo però trovato traccia. D’altronde se Nixon avesse effettivamente detto ciò, ci sembra assurdo che Frost non lo abbia poi editato: non sarebbe stato lo scoop del secolo?


 TUTTI GLI SPECIAL
BLU OTTICA ROMA         ARTPARFUM         INQUADRATURE OBLIQUE
TUTTI GLI ANIMALI           Prenota il tuo spazio pubblicitario su questo sito         

Questo sito non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi
un prodotto editoriale ai sensi della legge n.62 del 7/3/2001 o un giornale on line poichè sprovvisto di registrazione al tribunale nonchè di numerazione progressiva.

© 2007 RealDream - All Rights Reserved